EmmyBruno

È accaduto...

 

Vi voglio raccontare una storia che da sempre si tramanda nella nostra famiglia. Così me l’ha raccontata mia madre ed a lei il nonno e così via…

Era l’anno 1870 e Pantaleo Nervi, vecchio lupo di mare, comandante di bastimento, si avvicinava ormai all’età di fermarsi a terra per un meritato riposo.

Quel mare, che lo affascinava, giocava spesso brutti tiri e, di “colpi di timone”, ne aveva presi tanti.

 

Da lungo tempo gli era compagno “Bor”, il suo Terranova, un buon cagnone dall’aria tranquilla ma dallo sguardo attento al più piccolo mutar d’onda.

Avevano vissuto assieme come due buoni camerati. Il respiro profondo di Bor gli aveva tenuto compagnia in cuccetta quando il mare accarezzava dolcemente la carena e si era aggrappato al suo collo possente quando una burrasca violenta li aveva richiamati in coperta ad inzupparsi fino al midollo.

 

Bor gli era stato donato cuccioletto da un suo amico comandante pure lui, che lo aveva portato da Terranova ed era cresciuto sul mare. Non poche volte li aveva tratti d’impaccio portando a terra la cima quando l’attracco era reso difficile dalle condizioni del mare.

Durante i periodi di sosta a terra era l’amico inseparabile dei bambini: i nipotini di Pantaleo, che gli ruzzavano addosso appoggiando le morbide guancine sul suo serico pelame. Era sempre un dispiacere per loro quando, al momento della partenza, vedevano Bor incamminarsi trotterellando a fianco del nonno.

E così Pantaleo, un po’ per loro ma soprattutto perché Bor era ormai vecchio e voleva risparmiargli la fatica, aveva deciso di lasciarlo a terra per quegli ultimi viaggi.

 

Il giorno della partenza, Bor, lo sentiva sempre nell’aria e lo attendeva con impazienza, da buon marinaio.

Vedeva il padrone riporre gli indumenti puliti nel bauletto, riempire la sacca del tabacco e la “Rosa” che preparava le trenette al pesto: il piatto preferito del “Comandante Pantalin”.

 

Quel giorno aveva notato i soliti preparativi e, quando il comandante aveva indossato il giaccone, si era accinto a seguirlo dopo una linguata ad Andrea, il più piccolino dei nipotini.

Ma, cosa stava succedendo! Pantaleo lo aveva portato in giardino e, con voce un po’ rotta, gli aveva parlato dolcemente accarezzandogli il testone, poi se ne era andato.

Bor aveva atteso incerto. Possibile che volesse lasciarlo…! Poi era diventato impaziente, si era messo ad abbaiare ma non gli avevano badato perché tutti erano al balcone a guardare laggiù, in lontananza, il bastimento che issava le vele.

Infine l’impazienza aveva lasciato il posto ad una bramosia insopportabile: quel muro di due metri lo divideva dal suo padrone… Uno scatto di muscoli rafforzato da una volontà indomita e poi giù di corsa, all’impazzata, per la discesa di S. Francesco di Paola fino al mare ed eccolo ancora a nuoto dietro il bastimento che, mollati gli ormeggi, stava uscendo dal porto.

 

Furono i marinai ad issarlo a bordo mentre Pantaleo sentenziava che da allora Bor sarebbe rimasto per sempre sul mare con lui fino alla fine dei suoi viaggi.

 

 

 

 

 

Una favola vera

 

Quando i popoli vivevano a diretto contatto con la natura, gli uomini sapevano ascoltare il respiro della Grande Madre Terra.

 

L’odore umido del suo corpo penetrava fino alla loro anima ed essi vedevano l’alba ed il tramonto con gli occhi di un bambino.

 

A quell’epoca gli uomini capivano gli animali e li rispettavano.

Poi la macchina della civiltà passò sbuffando; il sudore della fatica colò sui loro occhi, gli orecchi si tapparono di rumori e la polvere disseccò le narici; ma gli uomini non se ne accorsero perché… avevano fretta.

E non si accorsero neppure di non comprendere più gli animali poiché essi vivevano ormai lontani, al di fuori delle grigie case di pietra, aggiogati alla legge dell’utile.

Vi furono però due popoli che non costruirono case.

Erano zingari e poeti, sognatori ed eroi. Solo una tenda avrebbe potuto ospitarli senza farli prigionieri.

 

Sovrano degli spazi sconfinati il primo, possedeva le grandi pianure d’America e i laghi e i fiumi.

Era cacciatore ma non sterminò il bisonte.

Guardava il volgere delle stagioni dall’ombra del suo tepee ed il volo degli uccelli migratori od il viaggio amoroso del salmone non avevano segreti per lui.

Principe del deserto il secondo, studiava di notte il moto degli astri sotto la volta del cielo stellato; di giorno scorreva le dune infuocate sfidando le tempeste di sabbia ed avvertiva a distanza l’acqua e l’oasi ristoratrice.

 

Essi non tradirono la Grande Madre Terra che volle premiarli di una gloria imperitura.

Così divennero creatori di due fra le più nobili e belle creature del modo: il purosangue arabo ed il Cane di Terranova.

Il labbro del cavallo divenne mobile e fremente e l’occhio del cane fu specchio interiore.

Il contatto umano non li faceva ritrarre ed il loro collo si inarcò alle carezze come quello del cigno.

L’uno diventò snello e scattante quanto l’altro fu robusto e flessuoso, ma entrambi conservarono l’armonia delle forme che è arte della Natura.

E l’arte divenne meraviglia nell’equilibrio della mente poiché di quegli uomini presero l’ampio respiro dell’anima e la sensibilità profonda.

Sono passati molti lustri…..

Mentre gli Indiani d’America scompaiono fagocitati dalle metropoli, gli ultimi nomadi beduini affogano in un deserto di sabbia che avanza, ma ciò che essi hanno dato al mondo rimane a perpetua testimonianza di un patto tra la Natura e gli uomini liberi.

 

 

 

 

 

La favola di natale

Perché certi Terranova hanno la lingua macchiata

 

 

Tanti anni fa, quando le strade erano ancora illuminate dai fanali e percorse dalle carrozze a cavalli, viveva nella contea di Dorset un ricco commerciante: Thomas Smith. Stanco dei viaggi e della città, egli si era ritirato in campagna per allevarvi cani e cavalli.

 

In breve tempo si era fatto una cultura sulle razze e l’allevamento e passava intere serate accanto al fuoco a discutere dei vari problemi con appassionati al par di lui. Egli aveva alle sue dipendenze un giovane garzone: Timoty. Questi amava enormemente gli animali e non perdeva occasione di apprendere tutto ciò che il padrone diceva su di loro. A quell’epoca la luce elettrica non era stata ancora inventata ed i ragazzi, prima di andare a letto, invece di guardare la televisione, solevano ascoltare i discorsi dei grandi.

 

Fu così che a Timoty capitò di udire qualcosa che gli avrebbe tolto la pace per un bel po’.

Bella, la Terranova nera del signor Smith, era stata maritata ad un campione bianco e nero di un altro allevatore. La cucciolata era prevista a giorni e i due, quella sera, discutevano sulle possibili combinazioni di colore: un cucciolo nero andava bene, un cucciolo bianco-nero anche, ma se ne fosse capitato uno nero con una sola gamba bianca? “Selezione, selezione!” gridava l’amico infervorato dal brandy e finì per convincere anche Thomas Smith della sua idea. Il ragazzo capì cosa significassero quelle parole e sperò che Bella potesse partorire solo cuccioli perfetti.

 

Il lieto evento avvenne due giorni dopo. Bella, inquieta, lasciava intendere che il momento si avvicinava e, come spesso capita, scelse la pace notturna per mettere al mondo i suoi cuccioli. Timoty, di cui si fidava ampiamente, fu incaricato di sorvegliarla. Nacque per prima una femmina nera e grassoccia che la madre faceva ruzzolare a linguate come una palla e poi, in ordine sparso, maschi e femmine, neri e bianco-neri, nove in tutto. Il ragazzo tirò un sospiro di sollievo, lieto che tutto fosse andato per il meglio, ma Bella aveva in serbo una sopresa… Dopo essersi riposata un bel po’ decise di completare l’opera e venne fuori il decimo: un bel maschietto vispo che si attaccò subito alla poppa e prese a succhiare vigorosamente. Era di un bel nero lucente ma una intera zampa bianca risaltava sul petto materno: per un attimo parve a Timoty una sentenza di morte. “Non è giusto” pensò “Lui vuole vivere”. Così, studia che ti studia, decise di nascondere la zampetta tingendola con un succo di more da lui preparato.

Quando al mattino il signor Thomas si alzò, fu ben felice di trovare quella bella cucciolata e di osservare gli eccellenti colori dei mantelli. Timoty, invece, tremava in cuor suo per timore che il colore se ne sarebbe andato ed allora…

Ma non fu così, quel succo era molto potente poiché era stato distillato con amore ed allora, invece di scolorirsi, finì per tingere anche la linguetta del cucciolo che, crescendo, leccava ogni tanto la sua zampa profumata. Non si scolorì più, anzi, fu trasmesso anche ai figli dei figli… Così la lingua macchiata divenne caratteristica di alcuni Terranova.

 

 

 

 

 

Come il Lupo divenne Cane

 

In un giorno di primavera già caldo di sole, un ragazzo di nome AJK correva attraverso la radura.

Saturo di luce e di libertà riandava con la mente alle storie importanti che i saggi della Tribù avevano raccontato la sera prima accanto al fuoco: erano storie che parlavano del Divino, del Sole e della Luna, della Terra e del Cielo...

 

Tutto ad un tratto udì, confuso al rumore dei suoi passi, una debole voce.

Non era il richiamo di un uccello ma piuttosto un pianto, il guaito di un cucciolo.

 

Con cautela Ajk ne seguì la direzione.

Stava in guardia perchè sapeva che gli animali diventavano ancor più feroci in presenza dei piccoli da difendere, ma non era così: in una crepa, tra le radici dei faggi, stava acquattato tutto solo un lupacchiotto.

 

Ajk conosceva i lupi ed in verità li temeva ma aveva spesso ascoltato i loro canti notturni ed ammirato la loro astuzia di predatori.

Nella tribù i lupi venivano cacciati e, quando il cibo scarseggiava, essi avevano anche imparato a nutrirsene e ad usare le loro pellicce per coprirsi ma ora la primavera colmava la terra di doni e la lotta per la sopravvivenza concedeva una tregua.

 

Non lo sapeva, però, il cucciolo rintanato nel fondo della buca: l'istinto atavico gli imponeva di diffidare, di guardare con terrore quegli occhi grandi e lucenti che lo fissavano, quelle mani capaci di afferrarlo.

Tremava con il pelo irto ed arruffato tentando di ringhiare con una mimica ancora inesperta.

 

Ajk comprese il suo dramma, anche lui conosceva la paura.

Ricordava quando sua madre lo aveva nascosto in un anfratto fra le rocce durante durante l'ultima battaglia della tribù.

Era la comprensione che nasce dall'esperienza, la stessa comprensione che aveva maturato il ragazzo prima del tempo rispetto ai suoi coetanei ed anche rispetto a molti altri uomini del Clan.

Egli era capace di immedesimarsi.

 

Parlò allora con la voce più dolce che gli fosse possibile e fu la magia del suono a compiere il miracolo.

Esso non vibrava con la violenza di un grido di minaccia o di dolore, ma era armonioso e costante come lo sciacquio del ruscello o lo stormire delle fronde.

Simili ad ondate di tepore le parole parevano accarezzare il cucciolo che smise di tremare.

Restava tuttavia diffidente in attesa del gesto che lo avrebbe privato della libertà, ma le mani non si protesero.

 

Ajk estrasse dalla cintola un pezzo di carne secca e lo gettò al piccolo lupo senza avvicinarsi ed esso compì allora il primo passo spinto dalla fame e forse, ancor più, da una curiosità istintiva.

Sempre, in tutte le epoche ed in ogni specie, l'evoluzione viene portata avanti da individui particolari che si distaccano dalla media del gruppo, capaci di rischiare e di tentare nuove vie.

Ajk ed il suo amico erano, per l'appunto, un po' speciali.

 

Il cucciolo si avvicinò ancora aspettando altro cibo e, quando il ragazzo finalmente compì il gesto a stento trattenuto di accarezzarlo, accadde una cosa rara e bellissima: il lupetto mosse la coda, rotolò a terra su sé stesso ed offrì al giovane uomo la gola candida e delicata dove pulsava la vita: era diventato cane.

 

 

 

 

 

Il segreto di Kabir

 

Da quando era piccola la bella sirenetta, nata nell'oceano, aveva sempre provato attrazione per il mondo degli esseri umani. Invano la madre ed il nonno Nettuno avevano cercato di dissuaderla: ella volgeva spesso lo sguardo verso spiagge e lidi lontani.

 

Passarono gli anni ed un giorno, su una di queste spiagge, la sirena vide un giovane pescatore intento a riparar le reti. Di tratto in tratto egli si volgeva sorridente a chiacchierare con un grosso cane nero che lo guardava adorante.

Il cuore della sirenetta battè più forte ed ella non si allontanò più da quei luoghi.

 

Come ogni fanciulla cominciò a sognare. Era bello il pescatore: lunghi riccioli bruni gli incorniciavano il volto ed il suo sorriso era caldo come la sua voce quando cantava nelle notti d'estate preparando la barca.

Di nascosto la sirenetta si lasciava cullare nella scia della barca al suono di quella voce.

Ma l'estate finì ed i primi giorni d'autunno portarono temporali improvvisi. Un giorno, mentre la barca già stava per tornare al sicuro, l'onda e il vento furono più veloci: la piccola barca piroettò su se stessa ed il pescatore, colpito dal boma, cadde in mare.

Il suo corpo, privo di conoscenza ed appesantito dagli stivaloni, affondò rapidamente ed il gorgo lo sospinse fra le braccia della sirenetta. Ella lo raccolse e lo tenne stretto sul suo cuore: ora era finalmente suo. Guardò il bel volto che tante volte aveva spiato da lontano: era pallido ed i riccioli bruni fluttuavano nell'onda; avrebbe potuto amarla e diventare un principe tritone ma . . . sarebbe stato felice?

Come una bolla di sapone il bel sogno si infranse e l'amore, che quando è vero è pronto a tutto donare per la libertà dell'altro, la indusse all'estrema rinuncia.

Nuotando velocemente lo sospinse verso l'alto dove Kabir continuava a ruotare in tondo addentando i flutti. Il buon cane se li vide comparire davanti all'improvviso e udì la sirenetta che lo pregava di salvarlo e di mantenere il segreto. Con forza afferrò il pescatore per la giubba nuotando velocemente verso terra ed ancora trascinandolo lontano dalla risacca.

Quando il pescatore rinvenne si trovò disteso sulla spiaggia: il suo terranova gli leccava il volto e le mani per riscaldarlo, mugolando sommessamente. Per un attimo ebbe la sensazione di un tenero volto chino su di lui ma fu solo un attimo: gli esseri umani, dopotutto, credono solo a ciò che chiamano realtà ed in quel momento la realtà era il suo terranova che abbaiava festoso e lo esortava a far presto, a raggiungere il paese dove avrebbe potuto scaldarsi al fuoco del camino.

Fra le onde due occhi di smeraldo lo guardarono allontanarsi.

Mentre trotterellava felice accanto al suo padrone Kabir si volse a guardare e vide in quello sguardo la malinconia di una sconfinata solitudine. Capì e decise: sarebbe diventato complice ed amico di quella creatura generosa che aveva salvato il suo padrone.

Da allora, quando di notte la sirenetta si adagiava sulla scoglio in un bagliore di riflessi argentati, Kabir si poneva accanto a lei per proteggerla e ricordarle quell'amore che in un futuro infinito avrebbe potuto realizzarsi.

 

Se guarderete con attenzione scorgerete anche voi su quello scoglio il profilo di una delicata sirena dai capelli inanellati di perle; al suo fianco forte e protettiva si staglia la lucente sagoma di un terranova: il più fedele dei compagni.